Un’inchiesta del New York Times svela che Facebook avrebbe consentito per anni un accesso intrusivo ai dati personali dei suoi utenti ai colossi tecnologici americani.

Facebook è accusata di aver intenzionalmente consentito un accesso intrusivo ad alcune grandi compagnie americane – tra cui spiccano Netflix, Microsoft, Apple e Spotify: a svelarlo è il New York Times con un’inchiesta condotta da Gabriel J.X. Dance, Michael LaForgia and Nicholas Confessore, che hanno basato la loro ricerca sullo studio di un ampio rapporto interno a Facebook e sulle interviste a ex impiegati del social.

Dall’inchiesta emerge che “per anni”, Facebook ha consentito “un accesso intrusivo” di alcune delle maggiori compagnie tecnologiche al mondo nei dati personali degli utenti, di fatto concedendo loro una deroga “alle abituali regole sulla privacy”.

«Nessuna partnership ha dato alle compagnie un accesso ad informazioni senza l’autorizzazione delle persone». Facebook, con un post pubblicato sul proprio blog, si esprime così in relazione all’articolo del New York Times, secondo cui il social network avrebbe consentito a circa 150 aziende.

Chi ha avuto accesso a cosa?

Ma l’inchiesta del New York Times sostiene un’altra verità. In particolare, Apple avrebbe avuto accesso ai contatti e agli appuntamenti fissati in calendario dagli utenti, anche nel caso in cui gli iscritti avessero disattivato la condivisione dei dati. L’accordo con Cupertino sarebbe ancora operativo: la Mela non ha negato, ma ha affermato di non sapere che si tratterebbe di un accesso privilegiato.

Amazon avrebbe ricevuto nome e informazioni sui contatti degli utenti. Con la società di Jeff Bezos l’accordo non sarebbe al momento attivo. Il gruppo si è limitato a dire di aver utilizzato i dati “in modo appropriato”, senza però scendere nei dettagli. Secondo una delle ipotesi, è possibile che Amazon abbia utilizzato le informazioni fornite da Facebook per combattere i commenti falsi sulla piattaforma di e-commerce.

Microsoft, tramite il motore di ricerca Bing, avrebbe avuto accesso a informazioni dei profili e contatti. Il gruppo ha affermato di aver cancellato i dati ottenuti da Facebook, mentre Menlo Park sostiene che solo i dati “pubblici” siano stati girati a Bing. Spotify e Netflix avrebbero avuto accesso alla lettura di messaggi privati scambiati su Facebook. Netflix ha replicato su The Verge, sostenendo di “non aver mai letto messaggi privati né mai chiesto di farlo”.

Le tipologie di accordi tra colossi

Gli accordi, secondo il New York Times, sarebbero di 3 tipologie: il primo è quello che Facebook definisce “integrazione” e viene firmato con i produttori di smartphone che vorrebbero un’App personalizzata per i propri utenti. IN pratica, lo sviluppo dell’App passerebbe proprio dalla condivisione dei dati.

Secondo l’inchiesta, però, Facebook avrebbe concesso lo status di “integration partner” anche a società che con la produzione di smartphone non hanno nulla a che fare. È il caso di Yahoo e di Yandex. Quest’ultimo sarebbe particolarmente delicato: si tratta di un motore di ricerca russo dai nebulosi rapporti con il Cremlino. E avrebbe avuto accesso agli user ID (cioè ai nomi identificativi) degli utenti di Facebook fino allo scorso anno.

La seconda tipologia di accordi rientra sotto la “personalizzazione istantanea”: lanciata tra il 2010 e il 2011, il programma facilitava la condivisione dei dati di Facebook con altri siti per creare un’esperienza di navigazione personalizzata. Per la condivisione dei dati era necessaria l’autorizzazione degli utenti, che però era già implicita nelle impostazioni di base, che formalmente davano il via libera a Facebook: per disattivare la condivisione gli utenti dovevano effettuare il processo inverso, ovvero cambiare le impostazioni di base. Il programma “personalizzazione istantanea” è stato fermato nel 2014, ma alcune società come Microsoft avrebbero continuato ad avere accesso ai dati fino al 2017.

Il terzo tipo di accordo suona anche come il più sinistro: Facebook avrebbe concesso ad alcune società di leggere messaggi privati: è il caso di Netflix e Spotify. Alla base di questo permesso ci sarebbe stata la volontà di concedere ai colossi la possibilità di studiare funzioni “social” per condividere suggerimenti con gli amici su serie tv e brani. L’opzione si è poi realizzata solo per la Spotify che, secondo il New York Times, avrebbe avuto accesso ai messaggi di 70 milioni di utenti.

La linea difensiva di tutte le società coinvolte è abbastanza primitiva: negano di aver commesso illeciti, oppure affermano che di non aver saputo di usufruire di uno speciale permesso per “spiare” gli utenti. Addirittura, c’è chi dice di non aver sfruttato i dati perché non sapeva di poterli prendere.

Un’altra brutta figura per Facebook in un anno già molto provato dagli scandali. Viene da chiedersi se sia veramente solo colpa sua.