Per un caso simile a quello del killer di S. Bernardino, un giudice ha stabilito che il governo non ha diritto a chiedere ad Apple di violare la password.

 

Prima vittoria per Apple nella lotta con l’amministrazione USA sulla privacy digitale: analizzando un caso di droga, un giudice di New York ha stabilito che il dipartimento di Giustizia non è tenuto ad obbligare la società di Tim Cook a sbloccare un iPhone. Una decisione che sembra dare speranze al colosso di Cupertino nella contesa con il governo americano, che poco tempo fa gli ha chiesto di sbloccare l’iPhone dell’ormai noto killer di San Bernardino.

 

Il giudice Orenstein, in una sentenza della bellezza di 50 pagine, ha deliberato la non autorità delle forze dell’ordine nell’obbligare Apple ad esaudire la richiesta della Drug Enforcement Agency e dell’FBI di sbloccare l’iPhone confiscato nel giugno 2014 ad un presunto trafficante di metanfetamina.

 

Il governo statunitense cercava infatti di obbligare la società di Cupertino a sbloccare l’iPhone sulla base dell’All Writs Act, una legge del 1789 che conferisce ampi poteri alla polizia invocata anche nel caso di San Bernardino. Il giudice si è rifiutato di convalidare l’ordine perché secondo lui contrario ai principi costituzionali.

 

 

Le ripercussioni della prima vittoria di Apple

 

Scontato dire come questa sentenza possa aiutare (e non poco) Apple a motivare così il suo rifiuto a collaborare con l’FBI per le indagini nella vicenda del killer di San Bernardino. Quel che preoccupa è come la vicenda possa in un certo senso logorare ulteriormente il rapporto di fiducia tra Stati Uniti e Unione europea, già per altro compromesso dai casi di spionaggio documentati dalla National Security Agency.

 

Ne consegue che la vittima collaterale di questo scontro possa diventare il Privacy Shield, il nuovo accordo tra USA e UE sulla protezione dei dati personali trasferiti negli Stati Uniti. Il testo vuole arrivare a garantire che i dati dei cittadini europei siano tutelati in America come lo sono nel Vecchio continente. Ma la sua approvazione è tutt’altro che scontata.

 

A questo poi si aggiunge come i dettagli del Privacy Shield, svelati gli scorsi giorni dalla Commissione europea, sembrino già non convincere troppo. Max Schrems, l’uomo che con la sua denuncia fece saltare il vecchio accordo Safe Harbour, ha dichiarato in un convegno sulla data protection che il nuovo accordo è stato come “mettere il rossetto a un maiale”, e che “non ci sono tante differenze”con lo stesso il Safe Harbour. Tempi duri per la privacy…