A quanto pare ai consumatori non dispiace che la propria attività venga tracciata, anche a scapito della privacy.

Un tempo si parlava solo shopping online, di rischi di affidare il numero della carta di credito su un sito sconosciuto. Ora si parla anche di gestione della salute, servizi taxi (come Uber), che comunicano dati sensibili e la nostra posizione via smartphone. E nemmeno gli enti governativi sembra che siano dalla nostra parte, anzi, pare che esattamente come i colossi del web seguano i nostri movimenti online per ricavare fatturato e informazioni sulla nostra vita.

 

 

Privacy sempre più a rischio?

Così sembra, anche se secondo un rapporto dell’istituto di ricerca Pew Research Center, specializzato in analisi presso i consumatori, la perdita di fiducia di un gran numero di persone è un segnale della situazione e della scarsa attenzione verso l’utilizzo dei dispositivi mobili, soprattutto per quanto riguarda i più giovani.

141112090536448

 

 

Basta alle password

I consumatori sono stanchi di utilizzare le password e sono sempre più propensi ad affidarsi a sistemi di identificazione più semplici. E non parliamo solo di identificazione biometrica (i fornitori di smartphone si stanno attrezzando per sostituire le password con le impronte digitali e l’autenticazione a due fattori).

Il fenomeno del self tracking via smartphone sta diventando normale, visto che il 40% del campione risponde in maniera positiva all’idea che lo smartphone tenga traccia delle loro attività fisiche. I consumatori pensano che i benefici di Internet siano ancora superiori ai rischi che corrono nel navigare online. Soprattutto per quanto riguarda i social media, gli utenti sono preoccupati sul metodo con cui le terze parti raccolgono informazioni, soprattutto per scopi pubblicitari. Siamo solo agli inizi degli effetti che l’uso di smartphone e device mobile fanno sui cittadini. Metà dei consumatori ha installato sui propri dispositivi app che monitorano il proprio uso di dati in mobilità, controllando anche la velocità di connessione.

 

 

Il furto di identità

Fenomeno in crescente diffusione anche nel nostro paese, e che lascia perplessi se si guarda ad alcune risposte lasciate dagli intervistati: gli Italiani nel 58% dei casi si dichiarano poco o per niente attenti alla diffusione dei propri dati online e, più nel dettaglio, nel 28% dei casi non si pongono neppure il problema, dichiarando di non fare nulla di particolare per tutelarsi. Anche se 4 intervistati su 5 dichiara di subire regolarmente tentativi di phishing, 1 su 8 sostiene di essere stato vittima della clonazione di una carta. Il livello di attenzione si alza quando si scopre di essere vittima di furto di identità, soprattutto nel momento in cui si avverte di aver aperto un finanziamento o di aver toccato la propria carta di pagamento.

 

Secondo alcune ricerche online sul furto di identità condotte da CRIF a Smart Research, tra i principali fattori di rischio riconosciuti ci sono eventi legati al furto di documento o strumenti di pagamento nel mondo reale e online, come accesso indebito a caselle di posta elettronica e transazioni online su e-commerce.

 

Il 33% degli intervistati riconosce come possibile fattore di rischio la pubblicazione di dati su social network ma in realtà non sempre i comportamenti di tutela sono coerenti quando si è in Rete.

 

 

Si è soliti sottovalutare i rischi di pubblicare i propri dati sul web, spesso utilizzati dai frodatori per ricostruire l’identità delle ignare vittime.

Parlando di furti di identità, la tecnica più banale ma più utilizzata dai malintenzionati è il phishing. Chi ha commesso la leggerezza di rispondere, resosi conto dell’errore, successivamente si è adoperato nel contattare la banca o l’emittente della carta di credito (60,8%) o la polizia postale (46,9%) per cercare di porre rimedio; il 27,6% dei rispondenti, una volta resosi conto dell’accaduto, non si è invece preoccupato eccessivamente.
Fortunatamente il 92,3% di chi ha subìto un attacco di phishing non ha abboccato e nella maggior parte dei casi ha cestinato la mail (nell’85,8% dei casi).
La ricerca ha messo in evidenza come 1 italiano su 8 ha scoperto suo malgrado la clonazione dei dati di una sua carta di pagamento, con cui sono state effettuate spese o prelievi a sua insaputa.
In più di un terzo dei casi (il 34,4%, per la precisione) la scoperta è avvenuta grazie al servizio di sms alert che segnala con un messaggio i movimenti effettuati, in seconda battuta da un avviso della banca o della società emittente della carta (28,8%) e, infine, leggendo l’estratto conto a fine mese (14,6%).