Dopo la falla che ha messo a rischio i dati di 500mila utenti, Google ha deciso di dismettere Google+, la sfortunata piattaforma social creata nel 2011.

 

Il social network più sfortunato di sempre chiude: entro il 2019 Google+ sparirà da internet. A dire la verità, il tentativo di Google di creare una piattaforma social che potesse dare del filo da torcere a Facebook era partito male sin dall’inizio: l’approccio di Big G fu abbastanza elitario all’epoca, poiché inizialmente l’invito a iscriversi al social fu mandato solo a una cerchia ristretta di utenti.

Google Plus rappresentava all’epoca il tentativo di mettere insieme le migliori caratteristiche dei diversi social (Facebook, Twitter, YouTube) raggiungendo immediatamente quel bacino di milioni di utenti che utilizzavano i servizi Google, come Gmail.

Cosa non ha funzionato in Google Plus?

Una partita che sembrava vinta sin dall’inizio, soprattutto in termini di crescita degli utenti visto che i vertici scelsero di convertire automaticamente qualunque utente di un prodotto Google, Gmail in primis, in utente Google Plus, o che vincolavano la creazione di canali YouTube alla creazione e uso di un connesso profilo Google Plus.

Il risultato quale fu? Un numero impressionante di utenti attivi ma un coinvolgimento pari a zero, poiché in effetti bastava accedere al proprio account di Gmail per accedere automaticamente a Google+! Nel corso degli anni al prodotto di Google furono apportate poche, non memorabili implementazioni: la piattaforma, già poco utilizzata, è stata praticamente dimenticata dagli utenti di internet.

 

Il colpo finale: il bug della piattaforma

Come se non bastasse questa lunga storia di fallimenti e insuccessi della creatura di Mountain View a decretare la sua fine, a dare il colpo di grazia due giorni fa la notizia che oltre 500mila utenti di Google+ sarebbero stati colpiti da un bug che per oltre tre anni avrebbe messo a rischio i loro dati sensibili.

A darne notizia ben prima di Google stessa è stato il Wall Street Journal: secondo la testata, l’azienda sarebbe stata a conoscenza della falla da marzo 2018 e non avrebbe diffuso nessun comunicato al riguardo. Il report racconta di un documento interno a Google nel quale già allora i dirigenti del gruppo venivano avvertiti del rischio di un pericoloso danno di immagine conseguente alla diffusione della notizia in quel periodo. Marzo 2018 è stato, infatti, il mese nero dello scandalo Cambridge Analytica, che ha investito Facebook. Nella nota aziendale si ipotizzava che in un clima del genere Google sarebbe potuta finire nello stesso calderone in cui era finita Facebook, con il rischio concreto che il numero uno di Google, Sundar Pichai, dovesse raccontare la sua versione dei fatti di fronte al Congresso degli Stati Uniti come ha fatto Mark Zuckerberg.

 

La spiegazione di Google

Secondo un portavoce di Google, la società aveva in programma di fare mea culpa spontaneamente prima del lavoro del Wall Street Journal, ma il report ha per forza di cose accelerato i tempi: ecco quindi che nello stesso giorno appare sul blog ufficiale di Google un post, con il quale la società tenta di dare spiegazioni del fatto, anche se in maniera non proprio dettagliata. Nel post ci si sofferma molto di più sui dati riguardanti l’engagement degli utenti che sul rischio al quale essi sono stati esposti con il bug. Si legge, quindi, che oggi il 90% degli iscritti trascorre meno di 5 secondi per sessione sul social network. Da qui la decisione di chiudere la piattaforma agli utenti semplici, quindi di lasciare attivi solo alcuni servizi per quelli business e per gli account brand.

Dicevamo che, invece, Google non ha spiegato bene cosa sarebbe successo nel 2015. La società ha parlato di un bug nel set di istruzioni dedicato agli sviluppatori di terze parti, che dava agli sviluppatori di app esterne accesso a nomi utente, indirizzi email, professioni, generi ed età di numerosi profili privati. Il bug, nato nel 2015, è stato corretto a marzo 2018 e secondo Google non era noto a nessuno degli sviluppatori che potenzialmente avrebbe potuto sfruttarlo.

Nella nota si legge anche che oltre a chiudere la versione consumer di Google Plus, verrà rafforzata la sicurezza dell’intera infrastruttura di interscambio tra i propri servizi e le app di sviluppatori terzi, limitando l’accesso che queste ultime possono richiedere e ottenere ai dati contenuti nei servizi Google (come Gmail) e alle funzioni dello smartphone, come la lista delle chiamate.