Un nuovo progetto di Google punta ad una rete neuronale capace di criptare da sola le comunicazioni.

 

La sicurezza informatica è un aspetto fondamentale della presenza in Rete, ma è anche quello al quale si vorrebbe pensare meno: l’ideale sarebbe navigare sapendo di essere al sicuro dalle varie minacce, senza doversi preoccupare d’altro. Proprio questa idea è alla base di Google Brain, il nuovo progetto con il quale la compagnia di Mountain View vuole unire la praticità dell’intelligenza artificiale e la necessità di protezione in Rete. Il sistema utilizzato è quello della rete neurale, ossia più dispositivi interconnessi che comunicano tra loro, imitando i neuroni del cervello. Grazie a questa rete, il sistema di Google è stato in grado di criptare da solo le comunicazioni, senza ricevere input o comandi esterni.

 

Le reti neurali impiegate sono 3 (ribattezzate Alice, Bob e Eve), ognuna con compiti diversi:

  • Alice ha il compito di inviare alla rete Bob un messaggio criptato, senza la possibilità di accedere all’algoritmo che gestisce tale funzione.
  • Bob ha il compito di decriptare il messaggio.
  • Eve deve tentare di intercettare la comunicazione.

 

In questo modo, i ricercatori hanno ricreato la meccanica di una tentata intercettazione di comunicazioni criptate. Alla rete Alice è servito un po’ di tempo per riuscire a criptare correttamente il messaggio, mentre Bob ha impiegato 15mila tentativi per decodificare nel modo giusto il contenuto. Per quanto riguarda l’intercettazione, so 8 dei 16 bit che componevano la comunicazione sono stati visualizzati dalla rete Eve.

 

Il primo passo verso una sicurezza informatica indipendente?

 

Le analisi dell’esperimento mostrano che la rete dedicata alla crtittografia ha saputo evolveree e adattare il suo metodo di comunicazione con l’altra rete, mentre la capacità di intrusione della terza rete è calata in maniera inversamente proporzionale al miglioramento fatto dalla sua antagonista.

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Le prestazioni delle due reti a confronto. Mentre una migliora, l’altra si allontana sempre più dal suo obiettivo.

 

Questo testimonia l’effettiva capacità delle reti di apprendere il modo corretto di proteggere informazioni e dati, spesso attraverso tecniche che i ricercatori hanno indicato come “inaspettate e originali”, specialmente se confrontate con i modelli crittografici classici. Sebbene sia un primo passo incredibile nella storia della cybersecurity, questo sistema ha una capacità di criptaggio ancora troppo semplice e grezza rispetto a quella degli algoritmi pensati dall’uomo. Il cammino quindi è ancora lungo, ma chissà che, in un futuro prossimo, l’automatizzazione dei protocolli di sicurezza non possa aiutare le aziende a tenere testa efficacemente al cybercrimine, il quale è in continua evoluzione.