Uno studio ha dimostrato che bastano 8 tweet per risalire alla residenza di un utente, il che può rappresentare un problema per la privacy.

 

I social network sono pensati per aiutare le persone a rimanere in collegamento, a scambiarsi idee e opinioni e a rimanere aggiornati su quanto succede nella vita degli altri, ma spesso rischiano di portare ad un’esposizione eccessiva delle informazioni più delicate e sfruttabili a scopi di dolo, come la posizione attuale o l’indirizzo di residenza. A dirlo è una ricerca condotta dal MIT di Boston e incentrata sulle pubblicazioni via Twitter: a 45 volontari sono stati mostrati alcuni tweet pubblicati all’interno dell’area di Boston ed è stato chiesto loro di risalire alla posizione esatta di un utente. Grazie soprattutto alla funzione di geolocalizzazione dei post, il numero di pubblicazioni necessario a risalire all’indirizzo è stato di 8.

 

Questo test riprende l’esperimento che ha portato alla famosa teoria dei 6 gradi di separazione, secondo la quale, in un gruppo di N persone, ognuna di esse è collegata alle altre attraverso una media di 6 intermediari: per formulare questa teoria, lo psicologo americano Stanley Milgram chiese ad un gruppo di cittadini scelti casualmente di far arrivare un pacco ad una persona della quale conoscevano nome, impiego e zona di residenza, ma non l’indirizzo preciso e, per fare questo, di affidarsi ad intermediari che avrebbero potuto conoscere il destinatario, in modo da scoprire in che misura mittente e destinatario fossero separati.
In questo caso, invece, non si è trattato di scoprire il numero di relazioni necessarie per risalire ad una persona, ma il numero di pubblicazioni social in grado di portare a conoscere l’ubicazione esatta della residenza o del luogo di lavoro.

 

La geolocalizzazione è un problema per la privacy?

 

Dal test è emerso che la funzione che più di tutte facilita l’esposizione dei dati è la geolocalizzazione, dal momento che attraverso servizi come Google Maps e i post geolocalizzati è possibile ricostruire il percorso quotidiano di una persona in maniera molto precisa. Questa può essere un problematica legata a numerose piattaforme social e non solo a Twitter, dal momento che la possibilità di specificare il luogo dal quale si pubblica è presente su svariati canali.

 

Per fare in modo che questo aspetto non comprometta la privacy e la sicurezza personale, è necessario prendere alcuni semplici provvedimenti:

  • Non indicare la posizione di luoghi importanti e/o sensibili, come la residenza o il luogo di lavoro, ma limitarsi a quelli più leggeri e innocui (bar, ristoranti, ecc.).
  • Non condividere la propria posizione durante le vacanze o lunghi periodi d’assenza da casa, visto che si rischia di far sapere ad eventuali malintenzionati che non si è a casa.
  • Impedire l’accesso alla posizione alle app di dubbia natura o a quelle che potrebbero esporre eccessivamente le vostre informazioni.

 

Non solo geolocalizzazione

 

Ma il problema non risulta essere solo quello della posizione troppo esposta: anche la quantità di informazioni condivise tramite i post è apparsa essere un fattore importante per risalire ai dettagli degli utenti, così come l’orario delle pubblicazioni. Come mostrato dal test, per i partecipanti è stato più facile risalire ai dati attraverso un set di pubblicazioni di 5 giorni, piuttosto che attraverso uno di 3.

 

Un altro aspetto che è emerso dalla ricerca è quello dell’attenzione alle impostazioni della privacy, aspetto poco conosciuto dagli utenti social, i quali condividono sempre più materiale senza essere al corrente di come e quanto esso venga esposto al pubblico. Ciò significa che è necessario arrivare ad una maggiore consapevolezza sul trattamento dei dati (a questo dovrebbero pensare i vari canali attraverso informative adeguate), ma anche ad un utilizzo più attento da parte degli utenti. A tale proposito, qualche tempo fa il Garante della privacy ha rilasciato una guida su come proteggere la privacy sui canali social e su come scoprirne gli aspetti spesso ignorati.