I 7 termini d’uso meno conosciuti dei social network
Ci sono norme e termini d’uso che non conosciamo e che accettiamo quando ci iscriviamo ai vari social network. Mashable ha stilato un elenco delle clausole meno note che gli utenti sono soliti sottoscrivere senza conoscere.
Quando apriamo un profilo su Facebook e altre piattaforme social siamo obbligati ad accettare i termini d’uso. È come se ci sedessimo a tavolino con Zuckerberg per siglare un contratto in cui è riportato cosa possiamo o non possiamo fare all’interno del suo social, e soprattutto, il contratto specifica quello che lui può fare con le preziose informazioni che gli stiamo passando.
Alcune cose sono scontate, come il monito a non diffondere virus; altre lo sono un po’ meno e quasi sempre le accettiamo a scatola chiusa senza leggerle. Per aumentare la consapevolezza ed evitare che gli utenti diffondano inutili catene di Sant’Antonio prive di valore legale a difesa della privacy, Mashable ha stilato un vademecum che raccoglie le clausole meno conosciute riguardanti Facebook, Twitter, Instagram, Snapchat e LinkedIn.
Quando pubblichiamo qualcosa su Facebook, gli concediamo il diritto di farne ciò che vuole. Ciò significa che i nostri messaggi possono essere utilizzati a scopo promozionale, e che le nostre informazioni possono essere passate agli inserzionisti.
L’utente ci fornisce una licenza non esclusiva, trasferibile, che può essere concessa come sottolicenza, libera da royalty e valida in tutto il mondo, che consente l’utilizzo dei Contenuti PI [n.d.r.: contenuti protetti da proprietà intellettuale, come foto e video] pubblicati su Facebook o in connessione con Facebook (“Licenza PI”).
E se il contenuto è pubblico, cioè visibile a tutti, anche le persone che non sono su Facebook possono sfruttare per il proprio tornaconto le nostre informazioni.
Quando l’utente pubblica contenuti o informazioni usando l’impostazione “Pubblica”, concede a tutti, anche alle persone che non sono iscritte a Facebook, di accedere e usare tali informazioni e di associarle al suo profilo (ovvero al suo nome e alla sua immagine del profilo).
Snapchat
Il social tanto in voga tra i più giovani vieta espressamente di “mettere a repentaglio la tua sicurezza o quella di altri solo per scattare uno Snap”. Potrebbe sembrare un appello scontato, che declina qualunque responsabilità in caso di condotta pericolosa. Ma significa di più: chi viola la regola può essere bannato dal servizio.
Tutti sappiamo che i social network sono purtroppo un terreno fertile per la proliferazione di comportamenti deviati, atti di bullismo, stalkeraggio, haters e troll. Instagram ha pensato bene di tutelarsi da possibili rivendicazioni legali mettendo nero su bianco il divieto di
Diffamare, perseguitare, intimidire, abusare, infastidire, impersonare o intimidire persone o entità ed è altresì vietato pubblicare tramite i Servizi informazioni private o riservate, inclusi, tra gli altri, dati di carte di credito, codici fiscali o altri numeri identificativi nazionali, indirizzi privati o informazioni sulla posizione, numeri di telefono non pubblici, indirizzi e-mail non pubblici, propri o altrui.
Inoltre, il social di photo-sharing si riserva il diritto di confiscare il vostro nome utente “per qualsiasi motivo”. Atteggiamento despotico? Non proprio: si tratta di una contromisura per fronteggiare i furti d’identità o l’uso di appellativi violenti o razzisti.
Attenzione alle cose che scrivete sul vostro curriculum di LinkedIn: anche la più piccola bugia può essere punita con la cancellazione del profilo!
Per difendersi dagli hacker, si sa, bisogna sviluppare password complesse, difficili da violare. Twitter ha pensato bene di ribadire il concetto nella lista di termini d’uso del servizio:
Twitter consiglia l’utilizzo di password “complesse” (formate da una combinazione di lettere maiuscole e minuscole, numeri e simboli) per il proprio account. Twitter non può assumersi, né si assumerà, alcuna responsabilità per perdite o danni derivanti dall’inosservanza di tali raccomandazioni.
Infine, Twitter si riserva la facoltà di rimuovere contenuti segnalati per violazione del copyright o addirittura di allontanare definitivamente dalla piattaforma la persona accusata di violazione. Severo, ma giusto!