Siamo disposti a venderli per soli due euro.

Dire dove ci troviamo, invece, costa un po’ di più. Non vogliamo essere targettizzati (sesso, età, gusti personali) né geolocalizzati.

Lo dice una ricerca condotta lo scorso ottobre e durata fino a dicembre su uomini e donne tra i 28 e i 44 anni del Trentino, di diversa estrazione sociale.

Un gruppo di ricerca guidato da Telefonica e in collaborazione con la fondazione Bruno Kessler e Disi Università di Trento ha monitorato gli smartphone di 60 volontari. La ricerca sarà presentata tra qualche mese a Seattle durante Ubicomp, la conferenza internazionale sulle tecnologie pervasive.

Uno dei tester ha detto a Repubblica.it:

“I volontari hanno ricevuto un cellulare, delle ricariche, chiamate, messaggi e accesso a internet. In cambio, abbiamo installato sui dispositivi un software capace di monitorare tutte le attività che svolgevano sul telefonino”.  Il sistema, verso l’ora di pranzo, chiedeva ai volontari informazioni divise in quattro categorie, elaborate il giorno precedente: comunicazioni, localizzazione, applicazioni usate e media (le foto scattate a orari specifici). E faceva un’altra domanda: quanti soldi vuoi per darci i dati che hai prodotto?

“Per ogni tipologia di notizie, si partecipava a un’asta inversa: vinceva chi aveva fatto l’offerta più bassa, ma riceveva la somma di denaro che aveva chiesto il secondo classificato”.

Geolocalizzazione e privacy

I risultati sono a dir poco clamorosi:

Più l’utente si sposta durante il giorno, più tende a considerare i suoi dati importanti. La geolocalizzazione è considerata la notizia più personale e, quindi, più preziosa. Abbiamo notato anche anomalie: giorni in cui i volontari chiedevano, in cambio, una somma di denaro più alta. Per esempio l’otto dicembre, per l’Immacolata Concezione, e una mattina in cui a Trento c’era stata una tempesta che aveva bloccato il traffico”.

 

“La sensazione diffusa è che per i consumatori questi dati abbiano un valore molto basso.
Il potenziale di mercato, invece, è altissimo”

Avete capito bene. In possesso di queste informazioni ottenute grazie a smartphone, social network, cookies e sensori che disegnano un’immagine di chi siamo, chi conosciamo, dove e quando, i broker possono vendere alle grandi compagnie commerciali, assicurative e finanziarie materiale per essere utilizzato in pubblicità, polizze, crediti su misura.