SwitchUp a PlayCopy 2019: cos’abbiamo imparato?
Il 5 e 6 aprile 2019 si è tenuta a Modena l’edizione 2019 di PlayCopy, il convegno sul copywriting e la scrittura creativa. Ovviamente, il nostro team di comunicazione non poteva perderselo. Ecco cosa abbiamo portato a casa.
Parole, parole, parole. A differenza di Mina, in SwitchUp siamo contenti che ci siano tante parole tra noi: sono i ferri del mestiere con i quali lavoriamo per valorizzare i nostri clienti e le loro attività.
Ecco perché cerchiamo non solo di impararne sempre di nuove, ma anche di imparare nuovi modi per usarle in modo efficace e convincente. Per questo, per il secondo anno di seguito, il nostro team di comunicazione è andato in peregrinaggio a PlayCopy, l’evento dedicato alla scrittura professionale e al copywriting organizzato da Pennamontata.
Sono stati 2 giorni in cui non ci siamo fatti mancare nulla: interventi e speech su ogni aspetto del copywriting e della comunicazione, spunti di riflessione, esercitazioni e code chilometriche in pausa pranzo. Ma alla fine, cosa ci è rimasto?
Ve lo diciamo direttamente noi del team comunicativo di SwitchUp, raccontando gli interventi che abbiamo apprezzato di più. Ecco le nostri voci (siamo Alessio, Valeria, Sara e Miriam)!
Alessio, a.k.a. la gigantesca barba malvagia
Francesco Addeo: il mago delle relazioni online
Venerdì 5 aprile è salito sul palco di PlayCopy Francesco Addeo, mentalista, illusionista, intrattenitore, scrittore ed esperto di team-building ed edutainment. Insomma, uno di quelli che quando dici “è un mago”, lo è per davvero… anche con le parole!
Nonostante io e lui abbiamo un conto in sospeso (mi ha usato come cavia nel suo spettacolo durante l’edizione 2018), il suo intervento sulla gestione delle recensioni e dei commenti negativi online è stato quello che mi ha colpito di più. Il perché ve lo spiego subito.
La “cavia” Alessio sul palco di PlayCopy nel 2018
Bias negativo e gestione della “rabbia” virtuale
Avete presente quell’indignazione che ci monta quando riceviamo su Internet un commento negativo e che ci dice che la cosa giusta da fare è rispondere “blastando” in perfetto stile Mentana, specialmente se quel messaggio è scritto in un italiano un po’ zoppo e ha argomentazioni discutibili?
Ecco, nel suo intervento, allestito come un videogame, Francesco Addeo ha mostrato come questa reazione sia la peggiore, visto che ogni recensione negativa mal gestita nutre uno dei nostri più grandi nemici, il bias negativo: non importa quante recensioni positive riceviamo, ne basterà una negativa per minare la nostra immagine agli occhi degli altri utenti.
Quindi che si fa? Semplice, si fa un respiro profondo, si conta fino a 10 e si analizza il commento: cos’è che l’utente ha trovato mancante? Quali erano le sue necessità? Sta esprimendo verità oggettive o soggettive? In che misura siamo responsabili del disservizio?
Una volta considerate tutte queste domande (cerchiamo di essere onesti con noi stessi, quando lo facciamo), possiamo formulare la nostra risposta, ricordandoci di rispondere in maniera pertinente e propositiva ad ogni punto della critica, utilizzando il tono corretto (evitiamo di infervorarci o di flagellarci con il cilicio), ammettendo le nostre colpe se necessario (mica facile, eh!) e tenendo a mente la cosa più importante: in realtà, stiamo scrivendo questa risposta per le altre persone che leggono la recensione!
Si comunica in ogni momento
Perciò, quale lezione ho imparato dallo speech di Addeo? Innanzitutto, che le regole e gli accorgimenti che utilizziamo per rispondere a questi commenti negativi sono gli stessi che dobbiamo usare nelle nostre strategie di comunicazione: il fulcro del discorso è sempre comprendere le necessità dell’utente e usarle come leva per fargli capire le caratteristiche e le dinamiche dell’azienda, il tutto usando il linguaggio più consono.
Ho capito, poi, che anche i più piccoli momenti di contatto tra azienda e utente sono importanti strumenti di marketing.
Infine ho imparato che quando si parla, specialmente su Internet, la ragione è dei fessi!
Valeria e Sara, le Red Headed Women
Paolo Iabichino: la forza delle parole
Sabato 6 aprile è stata la volta di Paolo Iabichino. Iabicus (così lo trovate su Twitter) non è soltanto un pubblicitario: è tra i pubblicitari più importanti d’Italia, tanto da ricevere l’anno scorso il Premio Emanuele Pirella “Comunicatore dell’anno”.
Iabicus è stato Chief Creative Officer in Ogilvy e ha iniziato la sua carriera nel mondo della pubblicità nel 1990, come copywriter. Negli anni ha pubblicato diversi libri, tra cui Invertising (2013) e Scripta Volant, un nuovo alfabeto per scrivere e leggere la pubblicità oggi, (2017). Oggi ha assunto la direzione del comitato scientifico del Brand Festival, appena andato in scena a Jesi (29 marzo – 5 aprile).
Armati di parole: è questione di accento
Al PlayCopy Iabicus ha tenuto un intervento dal titolo volutamente ambiguo: Armati di parole. Ecco, ma dove va messo l’accento su questa parolina? È aggettivo o imperativo? In questa ambiguità della parola armati sta tutta la forza dello speech di Iabichino.
Adesso, armatevi di pazienza che vi spieghiamo!
Pensiamo a quella parola come a un imperativo: armati di parole, ovvero usale come un’arma per colpire il tuo target, il tuo bersaglio. Usa le parole per dare vita a una scrittura di conquista, mettile in campo per costruire una strategia d’assedio e per conquistare il tuo spazio nel territorio della comunicazione.
Ma se invece pensiamo a quella parolina come a un aggettivo, se intendiamo quell’armati come un essere provvisti, un essere forniti di parole, di linguaggio? Se consideriamo non più l’obiettivo, il target da centrare con la punta della freccia, ma il pubblico, la nostra audience?
Se utilizziamo la parola per difendere l’immaginario collettivo e risolvere le tensioni culturali che dividono e impoveriscono il mondo? Se usiamo l’arma-parola per difendere un ideale, una giusta causa o per ristabilire una comunanza di destini tra il nostro brand e le persone che lo scelgono (attenzione, non comprano)?
Ecco che allora è tutto più chiaro: armati e armate di parole possiamo guardare oltre il mero obiettivo. È solo parlando alle persone (non colpendole come fossero bersagli) che otterremo applausi, consenso, reputazione, successo e infine profitto. Un po’ come hanno fatto Schweppes e Nike con questi spot sensazionali, che usano la parola per difendere le donne dagli stereotipi di genere e quindi puntano a stabilire un’empatia con le persone e a far dire loro “Schweppes, Nike: vi abbiamo scelto”.
Il sentire, prima del comprare
Quindi, in sostanza, cosa portiamo a casa dallo speech di Iabichino al PlayCopy 2019?
Portiamo a casa una profonda verità, che spesso sfugge a noi copywriter: quando parliamo alle persone, e ogni volta che affrontiamo un nuovo progetto, dobbiamo chiederci: come vogliamo che si sentano le persone con questo prodotto o con quel servizio che promuoviamo? Che testo possiamo scrivere per far scegliere al pubblico il nostro brand? Cosa possiamo dire di veramente epico per produrre adesioni, non semplici consumatori?
Miriam, la cowgirl con il cuore di panna
Sarò la voce fuori dal coro in questo post: del resto io in SwitchUp mi occupo di grafica, non di copywriting! Non scriverò di un intervento in particolare, ma delle mie impressioni generiche, di quello che mi ha colpito complessivamente dei vari interventi e speech di questa due giorni intensissima e ricca di spunti. Sono la donna della visione globale: i miei colleghi hanno analizzati e diviso, io sono qui per unire e tirare le conclusioni finali!
L’universo pubblicitario è in continuo evolversi: questa mutazione costante richiede un notevole sforzo da parte di noi addetti ai lavori, uno sforzo inventivo. Dobbiamo, infatti, inventarci ogni giorno un modo per attirare l’attenzione del pubblico: ma per toccare le corde più profonde dell’animo del cliente, dobbiamo saper produrre una comunicazione che non sia mai uguale a sé stessa!
Sbagliare e rimediare con successo
Il settore creativo sta diventando sempre più tecnologico e competitivo: non possiamo permetterci di fare passi falsi. Ma, si sa: sbagliare è umano e ogni tanto bisogna fare mea culpa. A PlayCopy ho imparato che quando si sbaglia, bisogna inventarsi un modo brillante e simpatico per uscire indenni dall’uragano!
Avete letto bene? Lì dietro c’è scritto REFENDUM!
Questo è un ottimo modo per rimediare all’ORRORE grammaticale!
La pubblicità non deve essere mai scontata, altrimenti perde di vista il suo scopo principale: attirare l’attenzione delle persone. Se parliamo al pubblico attraverso slogan esagerati e megalomani, perdiamo l’attenzione di chi ci ascolta e suscitiamo un senso di diffidenza. In parole povere: perdiamo reputazione e risultiamo totalmente inadeguati al nostro scopo.
Parlare chiaro, fare pulizia, allontanare il superfluo, i concetti astratti: questo è il metodo di lavoro che tutti noi dovremmo adottare per portare i nostri traguardi lavorativi a un livello superiore!
Mettiamoci dalla parte del pubblico e chiediamoci: cosa vorremmo ascoltare? Cosa vorremmo vedere? Che tipo di messaggio vorremmo che ci arrivasse? Concentriamoci sui bisogni reali delle persone, sviluppiamo empatia: in un attimo saremo credibili e affidabili!
Ci vediamo al prossimo PlayCopy!