Meno impiegati in grado di accedere ai dati e sistemi di sicurezza più elevati: Uber cambia la privacy policy per mettere fine alle indagini.

 

Nel 2014, alcuni report di BuzzFeed hanno portato alla luce l’utilizzo da parte di Uber di uno strumento per la localizzazione dei veicoli e il monitoraggio degli utenti richiedenti servizio, senza che essi ne fossero consapevoli: l’indagine partì dopo che Josh Mohrer, general manager di Uber New York, rivelò a Johana Bhuiyan, giornalista di BuzFeed, di aver saputo quando presentarsi alla loro intervista ricorrendo al tracciamento del taxi da lei utilizzato per raggiungerlo.

 

Il quadro emerso dalle indagini vede la presenza di un dispositivo, chiamato dagli addetti “God View”, in grado di tracciare la posizione dei vari veicoli, e al quale l’accesso è limitato agli impiegati di Uber, escludendo gli autisti. Ovviamente gli utenti non erano al corrente della presenza di questo strumento, anche se i rappresentati della compagnia hanno dichiarato che l’informativa sulla privacy era consultabile a tale proposito.

 

La situazione del colosso del car-sharing è stata resa ancora più scomoda dalla sua incapacità di garantire la sicurezza dei dati degli autisti.

 

Oggi, dopo 14 mesi di accertamenti da parte delle autorità locali e una sanzione di 20.000 dollari, Uber ha raggiunto un accordo per mettere fine alle indagini: la compagnia ha accettato di rivedere le linee della propria policy, limitando il numero di impiegati in grado di visualizzare i tracciamenti (solo quelli con fini commerciali) e implementando i sistemi di sicurezza dei dati, criptandoli e fornendoli di password.

 

Queste nuove misure potrebbero rivelarsi interessanti in relazione alla possibile partnership tra Uber e Facebook, il quale vorrebbe integrare il servizio di car-sharing all’interno della chat di Messenger.