Il Garante della privacy ha dato una bella stretta a Big G, imponendo alla società californiana delle restrizioni per tutelare la riservatezza degli utenti italiani.

Dopo mesi di minacce contro Mountain View, i provvedimenti si riferiscono al trattamento dei dati personali inseriti dagli utenti sui vari account gestiti da Google, come Gmail, YouTube, Google+, Maps, Analytics e Wallet.

 

Cosa cambia

Google non potrà più utilizzare questi dati per attività di profilazione e per proporre pubblicità personalizzata senza il consenso degli espliciti utenti. Ma non solo: l’uso del servizio non potrà essere considerato come un’accettazione delle regole inclusa nel prezzo. Il silenzio-assenso a cui siamo tanto abituati quando ci iscriviamo a un servizio online non sarà più valido.

Google dovrà spiegare in che modo raccoglie i dati, come ha intenzione di utilizzarli e per quanto tempo li conserverà.

Dovrà rispettare le stesse regole di privacy policy e cookie che rispettano tutti coloro che aprono un sito web e  che raccolgono i dati dei visitatori attraverso form online, iscrizione a newsletter, ecc. A quel punto, se gli utenti vorranno, potranno dare in maniera esplicita il loro consenso.

 

Google privacy policy

Come l’ha presa Google?

Ha accettato di collaborare. L’azienda di Mountain View ha 18 mesi per adeguarsi ed entro il 30 settembre dovrà sottoporre al Garante un protocollo di verifica, indicando tempi e modalità per l’attività di controllo che l’Autorità svolgerà nei suoi confronti. Il Garante ha anche annunciato che “sono previste delle ispezioni a Mountain View”, quindi, Google, stai allerta!

 

 

 Tutto cominciò quando

Google nel 2012 modificò le politiche sulle privacy. Cercando di offrire ai propri utenti un’esperienza più semplice grazie all’interconnessione dei suoi servizi, l’azienda di Mountain View ha unificato 60 procedure di policy in un solo documento globale, incrociando i dati raccolti. Una scelta molto contestata, che ha fatto arrabbiare anche l’organismo francese CNIL e l’Article 29 Working Party.

I Garanti di Italia, Francia, Spagna, Germania, UK e Paesi Bassi si sono uniti in una task force per contrastare le nuove regole di Google e per tutelare la direttiva europea sulla protezione dei dati personali.

“L’Italia è stata la prima a prescrivere misure concrete. Un grande risultato che premia il nostro approccio: invece che fare multe, creando un muro contro muro che alla fine non cambia nulla e lascia le regole così come sono, noi abbiamo preferito trattare. Nel corso dell’istruttoria, durata un anno, abbiamo avuto delle risposte da Google, che però si sono rivelate incomplete e insoddisfacenti. Da qui la decisione di imporre dei “paletti” da rispettare. Da oggi Google sarà costretta a dire la verità agli utenti, e cioè che non è vero che i suoi servizi sono gratuiti, ma si pagano con una moneta preziosa: i dati personali, che sono il cuore del business dei colossi del web“. (Portavoce del Garante)

 

Google è solo uno dei problemi: sotto la lente anche WhatsApp, Facebook e altri

Dalla Commissione Europea, infatti, si dice che si sta lavorando a un regolamento sulla privacy, molto più vincolante per gli Stati della direttiva attualmente in vigore.